UNA PAROLA PER MILLE MUSICHE

La parola di gennaio: TRADIZIONE

Prossimo appuntamento: sabato 6 febbraio

Se andando all’estero chiedessimo a qualcuno di fare il nome di un compositore italiano, tra questi con grande probabilità figurerebbe Puccini, Rossini, Verdi. La musica italiana è intrinsecamente legata alla tradizione dell’opera lirica. Il bel canto italiano, che rende tanto famoso il nostro paese, è dunque da vedere come l’essenza della nostra tradizione musicale?

Oggi incontreremo una realtà che, all’inizio del Novecento, ha cercato di rifondare la musica colta italiana su una base completamente diversa. I protagonisti di questa impresa sono gli esponenti della Generazione dell’Ottanta, Ildebrando Pizzetti, Francesco Malipiero, Ottorino Respighi, Alfredo Casella che alla ricerca di una rinascita della musica italiana perseguiranno le loro ricerche in tutt’altra direzione che il teatro musicale – anzi saranno in aperta polemica con esso. 

Mentre negli stessi anni all’estero la scena musicale vede compositori come Stravinskij, Schönberg, Bartók, in Italia di fatto le riflessioni estetico-musicali sono quasi nulle. I compositori della Generazione dell’Ottanta assieme a musicologi come Giannotto Bastianelli e Fausto Torrefranca vedono l’opera lirica, unico genere di successo in Italia, come incapace di «darsi una veste di dignitosa intellettualità», mentre la produzione per la musica strumentale finisce totalmente in secondo piano. L’opera italiana diventa il loro bersaglio principale e intravedono in essa il motivo principale della crisi musicale italiana e la sua arretratezza rispetto ad altri paesi. 

Le loro posizioni saranno confermate in vari articoli e saggi. Tra questi Les italianismes (1909) nel quale Pizzetti denuncia il malvezzo dell’enfasi canora e la mancanza di disciplina strumentale dell’opera; il Torrefranca in Giacomo Puccini e l’opera internazionale (1912) nega a Puccini ogni parvenza di artisticità e accusa l’opera di essere un oggetto mercificato, capace di soddisfare solo gli appetiti più bassi. Per quanto riguarda invece il modello perseguito da questo gruppo, questo viene descritto in Per un nuovo Risorgimento di Bastianelli; egli vede nel popolo la possibile base di una nuova responsabilizzazione sociale alla musica e afferma di voler «operare il risorgimento della musica italiana, della vera, della nostra grande musica, la quale dalla fine dell’aureo Settecento ad oggi è stata, con ben poche eccezioni, strascinata nella tristezza e nell’angustia dell’affarismo e del filisteismo».

Ritratto di Ottorino Respighi

Il ‘modello mediterraneo’, le nobili origini della musica italiana sono dunque individuati nel repertorio strumentale e polifonico del Cinque e Seicento, anteriore alle glorie del melodramma, ma anche nel canto popolare e nel canto gregoriano della liturgia. Gli esponenti della Generazione dell’Ottanta, coscienti del loro spirito italiano, saranno i primi in Italia a confrontarsi con i nuovi linguaggi musicali europei, aggiornandosi e scrivendo dunque musica moderna e cosciente del proprio tempo. La rinascita musicale italiana del Novecento deve quindi la sua «forza e la sua originalità all’armonioso equilibrio a poco a poco raggiunto da queste due forze apparentemente divergenti ma in realtà cospiranti ad un medesimo fine»: apertura al Nuovo, proveniente dagli altri paesi europei, e sguardo al passato italiano

Nel gruppo della Generazione dell’Ottanta, che come abbiamo visto ha contribuito all’aggiornamento della vita musicale italiana ai nuovi linguaggi moderni, il compositore che si distingue di più e riscuote maggiore successo è Ottorino Respighi. Egli dopo gli studi in Russia ed in Germania torna in Italia. Forse il tratto che più lo distingue è l’orchestrazione brillante, di cui dà prova anche nella sua opera più famosa, la Trilogia Romana composta tra il 1916-1926. Nei tre poemi sinfonici che tramando i suoni delle Fontane -, dei Pini di Roma e delle Feste romane mette a punto anche il suo interesse per il canto gregoriano e il canto popolare. Anche nelle sue composizioni pianistiche la linea melodica agile e sottile del canto è sempre presente; vediamo, dunque, come in Respighi il canto assuma una caratteristica filigrana, senza la pretesa al ‘pieno voce’ della lirica. In un’opera più tarda del 1927, Il trittico Botticelliano, Respighi abbandona la grande orchestra proprio per meglio avvicinarsi alla delicatezza fine del Cinquecento, alle pennellate di Botticelli. 

Articolo di Anna Farkas

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