I canti carnascialeschi e il “Festino nella sera del giovedì grasso”
di Felicita Pacini
UNA PAROLA PER MILLE MUSICHE
La parola di febbraio: MASCHERA
Prossimo appuntamento: sabato 20 febbraio
Nella ‘Fiorenza’ del Quattrocento il Carnevale raggiunse il suo massimo splendore grazie all’invenzione da parte di Lorenzo il Magnifico di nuove forme artistiche quali furono i canti carnascialeschi, le mascherate, i trionfi e i carri.
I testi dei canti carnascialeschi, caratterizzati dalla tipica vis comica fiorentina, erano quasi tutti di contenuto amoroso, spiritosi, pieni di doppi sensi e di licenze ardite per divertire il pubblico. Il maggior intento di questo genere di cantori consisteva nel rappresentare e mettere alla berlina figure popolari della Firenze dell’epoca, come artigiani e carpentieri, sarti e venditori di olio, persino eremiti e mendicanti. Molti canti iniziano proprio con una dichiarazione della categoria o del tipo che vi sarà rappresentato, per es. “Noi siam tre pellegrini…”.
Un particolare esempio di questo genere era il canto dei Lanzi, il cui testo, scritto in un incomprensibile miscuglio di dialetti italiani e tedeschi, metteva in caricatura il modo di parlare e i costumi dei soldati mercenari provenienti dalla Germania, noti come Lanzichenecchi.
Le melodie dei canti carnascialeschi erano semplici e adatte a essere cantate per le strade per esprimere il chiasso e l’allegria tipici dello spirito proprio del periodo. In quei giorni di festa si poteva anche assistere a manifestazioni artistiche più articolate quali le imponenti e sontuose sfilate dei trionfi e dei carri allegorici a tema mitologico. Un esempio tra i più celebri è “Il trionfo di Bacco e Arianna” su testo di Lorenzo il Magnifico, dove troviamo i famosi versi: “Quant’è bella giovinezza /che si fugge tuttavia! /Chi vuol esser lieto, sia: / del doman non c’è certezza”, che fu musicato da un autore anonimo.
I canti carnascialeschi rappresentano una prima rilevante affermazione di una pratica musicale che si stava diffondendo nell’Italia di fine Quattrocento e che entrò in diretta competizione con lo stile polifonico della scuola franco-fiamminga, in voga fino a quel momento. Di questi canti colpisce la ricchezza dello stile poetico e, infatti, alcuni di questi furono composti dai migliori umanisti e letterati del tempo come il Poliziano e il Machiavelli.
Dal punto di vista musicale si può dire che i canti carnascialeschi sono, il più delle volte, composti per quattro voci e per l’esecuzione all’aperto, e prevedono anche l’accompagnamento di strumenti musicali a corde, come liuti, chitarre, ribeche, e a fiato, quali pifferi, corni, bombarde, trombe e tromboni. Riguardo la struttura, sono caratterizzati da una scrittura prevalentemente omofonica, arricchita talvolta da fioriture e note di passaggio e da frasi musicali ben scandite attraverso un attacco simultaneo di tutte le voci e una conclusione ben cadenzata. Il ritmo è costantemente binario con brevi variazioni ternarie e l’armonia è semplice e senza modulazioni. Infine, siamo di fronte a uno stile più declamatorio che melodico, infatti, il cantus, la voce più acuta, non svolge un ruolo predominante, piuttosto, potremmo dire che il basso è la voce principale perché, presentando maggior ricchezza di movimento, sostiene l’armonia delle voci superiori.
Il più conosciuto fra gli autori che musicarono i canti carnascialeschi fu Heinrich Isaac, musicista di origini nordiche, autore, anche, di messe, mottetti e di chansons, conosciuto in Italia come Arrigo il Tedesco. Egli, che fu chiamato a corte da Lorenzo de’ Medici intorno al 1479 per sostituire l’organista Antonio Squarcialupi (lo stesso che ha dato il nome al codice conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana, prezioso documento dell’Ars Nova italiana), fu un autore dall’ingegno versatile, capace di mettere in musica opere profane con testi tedeschi, francesi e italiani. Isaac musicò alcune frottole e canti carnascialeschi, come il Canto de berniquola, dello stesso Magnifico, riuscendo a rendere appieno lo spirito di una nuova e originale forma compositiva. Fu ancora Isaac che mise in musica il lamento composto dal Poliziano per la morte di Lorenzo nel 1492: Quis dabit capiti meo aquam, un brano celebre per i suoi colori armonici e l’espressività commovente.
Adriano Banchieri (1568-1634), bolognese, insigne musicista dell’epoca, fu monaco olivetano e organista a Bologna, Venezia, Imola e nell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore. Fu in relazione con i più importanti musicisti del tempo come Frescobaldi, Monteverdi e Caccini; ebbe una creatività imponente, e fu anche un innovatore nell’armonia, con le sue tesi sulla dissonanza del “novello stile”, apprezzabile nel prologo del “Festino nella sera del giovedì grasso avanti cena”, considerato il suo capolavoro.
Proprio quest’opera, pubblicata a Venezia nel 1608, ci conduce al suo Carnevale. Si tratta di una commedia madrigalesca a cinque voci miste in cui la parte musicale prevale sull’azione drammatica e che vede alternarsi, proprio come una sfilata di maschere, brani di forme e stili diversi, da un carattere più popolare, come le canzonette, a uno più colto, come i madrigali: l’abilità del compositore consiste proprio nell’aver saputo padroneggiare e unire in un’unica cornice soluzioni musicali differenti. L’atmosfera è quella di una vivace festa di Carnevale: immaginiamo di trovarci tra gli ospiti, accolti da un vecchio amico che ci riceve con un lungo recitativo dal tono umoristico. Il “Festino” ha così inizio e i cantori, tra travestimenti, scherzi e canti a volte anche improvvisati, coinvolgono gli ascoltatori in un divertente susseguirsi di scene. Tra i brani dell’opera spiccano per raffinatezza espressiva il Madrigale a un dolce usignolo e Li amanti cantano una canzonetta. Tra le altre composizioni del “Festino”, sempre precedute da due versi recitati che ne anticipano il contenuto, possiamo ascoltare anche un brano dove emerge, in maniera scherzosa e parodistica, quel descrittivismo musicale che era nato proprio con il madrigale e che poi, in quello stesso periodo, sarebbe giunto alla forma rappresentativa per eccellenza: il melodramma. Parliamo del Contrappunto bestiale alla mente che ha per protagonisti un cane, un gatto, un cucco e un chiù, le cui voci “animalesche” eseguono un contrappunto sopra un basso che canta un testo in latino maccheronico, a mo’ di parodia del repertorio liturgico.
Ed ora, se vorrete, potrete anche ascoltare queste antiche composizioni carnascialesche, ricordandovi che, anche in musica, a Carnevale… ogni scherzo vale!
Articolo di Felicita Pacini
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