Il Tempo di Pasqua con De Victoria e Bach
di Felicita Pacini
BUONA PASQUA DA LA FILHARMONIE!
Prossimo appuntamento: sabato 10 aprile
Come non esiste giorno senza notte, primavera senza inverno, gioia senza tristezza, vita senza morte, così non esiste Pasqua senza Passione. In questo articolo vorrei proporvi alcuni scorci musicali sui momenti più significativi della storia della Redenzione.
Nel 1585 il compositore spagnolo Tomás Luís De Victoria pubblicò con il suo Officium hebdomadae sanctae diciotto responsori del Triduo pasquale. Il responsorio è una fra le più antiche formule del canto liturgico dove un solista intona il testo e l’assemblea risponde. De Victoria volle confrontarsi con queste antiche melodie di tradizione gregoriana e cimentarsi in una loro resa musicale in stile polifonico, sperimentando quella modalità espressiva che si stava sviluppando in quegli anni cioè di conservare una maggior aderenza al testo rispetto alle elaborate costruzioni polifoniche. Il risultato che ottenne fu la creazione di suggestive composizioni a quattro voci nelle quali la sintesi tra testo e musica raggiunse un elevato impatto comunicativo.
Inquadriamo meglio il primo di questi responsori, che introduce l’episodio del tradimento di Giuda. Il contenuto del testo lo conosciamo già: l’apostolo indica, baciandolo, quale sia l’uomo che i soldati devono arrestare poi, pentitosi, lascia il denaro e si impicca. L’inizio dei soprani e dei contralti sulle parole amicus meus è dolce ma diventa drammatico con l’ingresso delle altre due voci più gravi sulla parola osculi (bacio, il segno del tradimento). La drammaticità del momento si intensifica progressivamente attraverso il contrasto tra le stesse voci che terminano però la frase tutte insieme su homicidium, una parola importante che l’ascoltatore deve poter intendere bene. Questa prima parte, nella quale viene raccontato il fatto, si conclude con la frase tradotta dal latino “L’infelice lasciò cadere il prezzo del sangue e andò ad impiccarsi” che, musicalmente, si traduce con una tensione espressa da tutte le voci culminante in un accordo sospeso, bruscamente interrotto sulla parola suspendit. Contrasta con questa parte la breve, e al contempo incisiva, risposta dei soprani insieme ai contralti: “Sarebbe stato meglio per lui se quell’uomo non fosse mai nato”, cantata con un tono freddo e quasi impersonale.
Quando si parla della Passione di Gesù in ambito musicale, non si può non citare il capolavoro di J. S. Bach, la Passione secondo Matteo BWV 244. Un’opera imponente sia dal punto di vista dell’organico, che prevede solisti, doppio coro e doppia orchestra, sia dal punto di vista della struttura musicale. Tra arie, ariosi, recitativi, cori e corali si contano settantotto brani divisi in due macro-parti. Il testo della passione-oratorio è stato ripreso, come suggerisce già il titolo, dal vangelo secondo Matteo mentre quello delle “meditazioni” sulla vicenda è stato composto dal librettista Picander o, nel caso dei corali, è stato tratto dal repertorio usuale. Meriterebbe parlare e conoscere quest’opera nella sua interezza per poter apprezzare la maestria con cui Bach è stato capace di costruirla, ma è pur vero che, in questo articolo, non posso che limitarmi a suscitare in voi la curiosità di ascoltarla.
Il doppio coro finale, Wir setzen uns mit Tränen nieder, ci pone davanti al momento in cui Gesù, ormai morto, è stato posto dentro al sepolcro. Nella grandiosa semplicità di questa conclusione il coro, tra lacrime e lamenti, augura alle membra di Gesù di trovare un dolce riposo. Se infatti avessimo sott’occhio il testo in tedesco potremmo notare che il termine Ruhe domina su tutto, nelle forme verbali ruhe, ruhet (riposa, riposate), ripetute innumerevoli volte, e nei composti Ruhekissen (cuscino), Ruhstatt (luogo di riposo). Giorgio Pestelli fa notare che, essendo stati questi termini intenzionalmente modificati e aggiunti nel testo, ciò fa pensare che «Bach, solo o assieme a Picander, è guidato da un sicuro intuito nella ridondanza accordata a Ruhe come fonema e come semantema». Questo sentimento di pace e serenità che il compositore vuol far trapelare dal brano è ottenuto anche con la forma dell’aria col da capo (ABA’), accentuata da frequenti ripetizioni ed effetti di eco tra un coro e l’altro, che sembrano voler indugiare nel congedo. Nonostante la triste tonalità in do minore ci continui a ricordare davanti a quale tipo di evento siamo, anche l’impianto armonico contribuisce a restituire una limpidità e semplicità del brano: la sezione A si basa sulla contrapposizione tra la tonalità di base e la relativa maggiore mentre, in B, avviene una modesta escursione modulativa. Questa è solo una delle diverse modalità con cui Bach, all’interno della passione, ha saputo esprimere le diverse sfumature del sentimento religioso.
Lasciamoci ancora condurre da Bach verso la Pasqua, ascoltando la gioia trionfante del Et resurrexit dalla Messa in si minore BWV 232 composta tra il 1724 e il 1749. È questo un altro capolavoro assoluto della storia della musica, che gli è valso il titolo di “Grande” Messa in si minore (Die hohe Messe in H-moll) e di cui Alberto Basso ne ha parlato come di un “capolavoro sospeso nel vuoto, opera d’arte polivalente nella quale il ricorso a più stili fra loro contrastanti e regolati da un’ideale e dialettica concordantia oppositorum è la ragione prima del messaggio musicale”. È curioso notare che, secondo gli studiosi, questa messa non fu concepita in maniera unitaria da Bach e sicuramente non la propose mai nella sua interezza, inoltre, quasi tutti i numeri della partitura sono adattamenti o parodie di opere precedenti. La sola parte del Symbolum Nicenum della Messa, ad esempio, fu eseguita nel corso di un concerto di beneficenza sotto la direzione di Carl Philipp Emanuel Bach. Se ascolterete l’Et resurrexit potrete accorgervi che la cellula ritmica in levare dell’orchestra imprime nell’ascoltatore l’immagine dell’ascesa al cielo mentre il coro a cinque voci, accompagnato dagli squilli di tromba, intona le parole che annunciano la resurrezione.
Articolo di Felicita Pacini
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