Il Settecento musicale, intervista al Prof. Marco Mangani
di Felicita Pacini
Prossimo appuntamento: 20 maggio
In vista del concerto della Filharmonie del prossimo 21 maggio, abbiamo voluto intervistare il professor Marco Mangani, presidente del Centro Studi Luigi Boccherini di Lucca. Le sue risposte ci offrono un quadro ampio e articolato della ricca personalità musicale del maestro lucchese e delle attività di conservazione e diffusione, volte a valorizzare la sua produzione artistica.
[FP: Felicita Pacini MM: Marco Mangani]
FP: Il prossimo 21 maggio si terrà il secondo concerto sul Settecento musicale della rassegna Prospettive 2022, promosso da La Filharmonie insieme al Centro Studi Luigi Boccherini di Lucca. In cosa è consistita questa collaborazione e come si augura che prosegua in futuro?
MM: Abbiamo messo a disposizione la copia manoscritta conservata a Dresda del concerto G 478 che sarà eseguito in quella occasione. La copia ovviamente l’abbiamo messa a disposizione nella versione digitalizzata che abbiamo tratto dal fondo Gérard. Inoltre, insieme al direttore d’orchestra e al solista Enrico Bronzi, abbiamo discusso alcune questioni inerenti la lezione testuale e, in particolar modo, la questione spinosa del concerto G 478 dei due rondò alternativi, entrambi attestati dagli unici testimoni, tutti piuttosto tardi, superstiti di questa composizione.
FP: Accanto ai nomi di Haydn e di Mozart, presenti nel programma della serata, quale è stato il contributo più originale di Boccherini nel contesto della civiltà musicale del Settecento europeo?
MM: In un certo senso direi proprio quello di aver rappresentato una validissima alternativa per un modello di musica strumentale e, in particolare, di musica da camera che segue direttrici completamente diverse da quelle del classicismo viennese. In particolar modo, Boccherini è un autore nel quale – come mi piace dire – la forma si modella di volta in volta sul contenuto in una misura molto maggiore di quanto non avvenga nei viennesi, che pure certamente non compongono, come sappiamo, con forme rigide. Inoltre, è un tipo di scrittura nella quale ciò che si valorizza al massimo è l’originalità dell’ordito sonoro e dell’invenzione timbrica, anche quando si lavora con gli strumenti ordinari, e poi questa straordinaria capacità di assorbire avidamente la musica del territorio, la musica che gira intorno mi verrebbe da dire, parafrasando un ben noto testo di canzone. Insomma, Boccherini, se avesse mantenuto l’amministrazione della propria fama come ha fatto all’inizio della carriera, sarebbe stato senz’altro un’alternativa compresente a quella dei viennesi.
FP: Qual è stata l’importanza di Boccherini come esecutore e compositore nei confronti del suo strumento, il violoncello?
MM: Stando a quello che mi dicono i violoncellisti, si tratta di un’importanza capitale, soprattutto legata al fatto che con la sua scrittura e – si badi bene – non solo con la scrittura delle sonate e dei concerti per violoncello, ma anche con le parti di primo violoncello nella sua amplissima produzione di musica da camera, Boccherini ha contribuito in maniera enorme a sviluppare il registro sovracuto, l’uso degli armonici, la tecnica delle dita e via dicendo. Questo lo sapeva già molto bene un grande violoncellista dell’Ottocento come Piatti, che infatti non mancava mai di inserire Boccherini nei propri programmi di concerto.
FP: Nel settembre 2016 il Centro Studi ha ampliato la sua biblioteca grazie al ricco patrimonio musicale proveniente dalla collezione di Yves Gérard, docente del Conservatorio di Parigi, musicologo di fama internazionale nonché autore del primo catalogo tematico delle opere di Boccherini. Attraverso un lodevole lavoro di catalogazione e digitalizzazione vi siete occupati di rendere accessibile questo materiale e di migliorare il suo stato di conservazione. Quale ritiene sia il miglior modo per dare visibilità a tale patrimonio e valorizzarlo? Quali progetti state promuovendo in questa direzione?
MM: La digitalizzazione sarà tutta completata entro l’estate grazie alla collaborazione inestimabile dell’archivio fotografico lucchese, collaborazione che ci è stata agevolata tantissimo dall’intercessione dell’amministrazione comunale della città di Lucca. Dopodiché, per promuovere, metteremo online un catalogo completo in modo che gli studiosi e tutti gli interessati sappiano che cosa effettivamente è possibile consultare in maniera concentrata nel fondo Gérard, perché il valore aggiunto di questa collezione – che è una collezione di riproduzione – è quello di concentrare fonti boccheriniane da tutto il mondo. Quindi c’è la possibilità di lavorare su una grande quantità di testimoni provenienti da varie parti del mondo, ma tutti concentrati in un unico luogo. Poi metteremo a disposizione il materiale di altri due centri di raccolta, uno sarà l’Istituto musicale Boccherini di Lucca e l’altro sarà la sede dell’associazione Luigi Boccherini di Madrid che è, rispetto al nostro Centro Studi, un’associazione gemella e con la quale collaboriamo da tanti anni. Mettere in rete l’intero materiale è questione più complessa perché, come si può facilmente immaginare, richiede che prima si siano presi accordi preventivi con tutte le biblioteche che sono in possesso di materiali fisici. E qui, per qualche biblioteca, soprattutto per quanto riguarda l’Est europeo, prevedo, ahimè, qualche difficoltà. Però non vorrei mancare di citare l’obiettivo più importante di valorizzazione di questo materiale, che è poi la missione principale del nostro Centro Studi: la realizzazione della seconda edizione del catalogo Gérard – Gérard 2 – che sarà una versione interamente in rete, continuamente aggiornabile e che ha richiesto molto più tempo di quanto sperassimo; ne richiederà ancora molto, ma è e resta l’impegno scientifico più grande che stiamo coltivando al Centro Studi Boccherini.
FP: Dal suo punto di vista, quanto crede sia importante oggi la sinergia tra chi si occupa a vario titolo di sostenere la vitalità della cultura musicale come, ad esempio, musicisti, direttori artistici, musicologi e archivisti?
MM: Beh, altro che importante! Secondo me è l’unica cosa che può effettivamente salvare questo inestimabile, immenso patrimonio di idee, di emozioni, di creatività che è la tradizione colta europea e occidentale in genere. Soltanto attraverso un costante lavoro di rimando fra l’attività degli artisti – che deve mantenersi ovviamente libera e che deve mantenere tutti i suoi margini di creatività autonoma – degli studiosi e della divulgazione, soltanto attraverso il mantenimento di questo canale di rimando costantemente aperto, possiamo sperare di far diventare, forse per la prima volta, patrimonio condiviso di cittadinanza l’immenso patrimonio artistico della musica colta occidentale. Quindi penso che sia strategico e fondamentale, penso che sia oltretutto uno dei pochi elementi di ottimismo che riesco a nutrire sulla cultura musicale di questo nostro periodo perché vedo che, sia da parte degli studiosi sia da parte dei musicisti, c’è oggi una consapevolezza della necessità di collaborare molto più alta di quella che si riscontrava nelle generazioni precedenti.
Articolo di Felicita Pacini