Liszt e gli Anni di Pellegrinaggio
di Anna Farkas
UNA PAROLA PER MILLE MUSICHE
La parola di giugno: VIAGGIO
Prossimo appuntamento: sabato 12 giugno
Il topos del viaggiatore ha avuto grande fortuna nel corso del Romanticismo. Per quanto il viaggio come tema è frequente sin dai tempi antichi – pensiamo al viaggio eroico di Omero – nel corso dell’Ottocento tale tema acquista una sfumatura diversa; essa rimanda alla solitudine e alla condizione errante dell’uomo, senza una patria, senza un amante che gli dà dimora. Il tema del Wanderer, il viandante, è particolarmente centrale nella cultura tedesca: pensiamo alle musiche di Schubert, tra cui l’omonimo Lied ‘Wanderer’ e ai suoi due cicli liederistici, narranti entrambi di un viaggio; oppure a Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister del romanzo pedagogico di Goethe.
Nel corso di questo articolo cercheremo delineare il resoconto del viaggio di vita del compositore ungherese Franz Liszt (1811-1886) e cercheremo di vedere ciò attraverso lo specchio dell’opera trilogia Anni di Pellegrinaggio (Années de pèlerinage). La sua vita è stato un lungo viaggio frastagliato, caratterizzato da molti viaggi in senso strettamente geografico, ma anche da un viaggio personale più intimo: vedremo infatti l’evolversi e il maturarsi sia della sua personalità sia del suo estro compositivo.
Il primo volume degli Anni di Pellegrinaggio è dedicato alla Svizzera e viene data alle stampe nel 1855. Tra i brani contenuti in questo volume sette facevano già parte di un’altra raccolta pubblicata nel 1842, intitolata Albume d’un voyageur; queste opere sono state scritte in realtà ancora prima, nel 1835, quando Liszt si era rifugiato in Svizzera. Egli era obbligato a scappare da Parigi, considerando che la sua amante Marie d’Agoult, una donna sposata, era in dolce attesa. La coppia si stabilisce a Ginevra per due anni, ma presto ripartono per l’Italia dove vagano senza una fissa dimora tra le più importanti città italiane.
Il secondo volume degli Anni di Pellegrinaggio ha per l’appunto come sottotitolo Italia e contiene (tranne uno) brani composti nel 1837, durante questo viaggio in Italia; anche questo volume fu dato alle stampe solo più tardi, nel 1858. Il terzo volume non è dedicato a nessuna nazione, per quanto anche a questo si potesse recare il sottotitolo Italia: la raccolta vede luce nel 1877, quando Liszt già da tempo si era stabilito a Roma, esattamente a Villa Este a Tivoli, luogo al quale sono dedicate tre composizioni dell’ultima raccolta. Come sottolineeremo, però, la mancanza del sottotitolo ci fa notare quanto l’ultimo Liszt già si allontani dalla contemplazione degli oggetti reali dell’immanente, per rispecchiarsi nel suo animo più profondo.
Addentriamoci dunque più profondamente in questi tre volumi, cercando in essi anche cosa possano rappresentare nella vita di Liszt. Il viaggio svizzero, del 1935, segue ad un periodo di successo nel quale il compositore si afferma come acclamatissimo virtuoso del pianoforte, e, specialmente durante gli anni trascorsi a Parigi, sarà un grande frequentatore di salotti dove incontrerà la crème dell’aristocrazia e cultura europea. Per il cosmopolita Liszt la natura e la quiete svizzere saranno dunque carichi di stimoli per la composizione; pensiamo alla quiete del Lago di Wallenstadt dove tutto sembra immobile in una contemplazione attenta. Liszt però, già in una prefazione scritta all’Albume d’un voyageur, ci avverte: nelle sue composizioni egli non mira ad una mera mimesis della natura, ma a «presentare in musica alcune delle mie sensazioni più forti e delle mie impressioni più vive» prodottesi dall’osservazione dei fenomeni della natura. Oltre a questo piano naturalistico, Liszt ne introduce uno anche letterario. Tutti i brani sono infatti introdotti da una citazione letteraria. Le citazioni più frequenti sono tratte da Child Harold’s Pilgrimage di Byron, accanto a quelle di Schiller, Goethe e Sénancour – il cui romanzo Oberdan è ispirazione per il brano più significativo della raccolta: Valle d’Oberman. Queste citazioni testimoniano della chiara immedesimazione del musicista Liszt con il tema del Wanderer e della sua appartenenza e conoscenza della cultura europea che di questo tema, come si accennava sopra, ne ha fatto già tesoro.
Il secondo volume dedicato all’Italia si rivolge ai maestri dell’arte italiana, in contrapposizione con l’osservazione del paesaggio svizzero. Il primo brano Sposalizio è ispirato, anche nella struttura del brano, dallo Sposalizio della Vergine di Raffaello, mentre il secondo, Penseroso – caratterizzato da un’atmosfera cupa e pesante, vicino al gusto dell’ultimo Liszt – riflette sulla statua michelangiolesca di Lorenzo de’ Medici, che assume la figura del pensante melancolico; questo brano stride fortemente con il brano che segue: la festosa Canzonetta Salvator Rosa, la cui vivacità sembra derivi anche dalla freschezza della cadenza della lingua italiana (troviamo il testo italiano scritto in tutto lo spartito sopra la melodia). La raccolta si chiude con le quattro opere più conosciute del ciclo: i cosiddetti Tre Sonetti del Petrarca e la Sonata Dante.
Prima di introdurre il terzo volume, scritto molti anni dopo, è necessario un ex cursus sulla vita del compositore. Questa è molto cambiata rispetto al periodo della composizione delle precedenti due raccolte (ca.1835-37); egli dopo il periodo weimariano, nel quale si dedica principalmente alla direzione e alla composizione orchestrale ritirandosi già dalla scena come pianista, si trasferisce a Roma. Qui, nel 1863, decide di ritirarsi ancora di più dalla vita mondana e sentendo un profondo impulso religioso si chiude in un monastero e due anni più tardi prenderà anche gli ordini minori della chiesa cattolica. Siamo lontani dunque dal giovane cosmopolita, frequentante sfarzosi salotti e belle donne. Questo cambiamento personale influenza anche le sue composizioni, dedicate per lo più a temi religiosi e cambiati anche nel loro stile; le opere giovanili del Liszt virtuoso lasciano il posto ad una silenziosa riflessione intorno ai misteri della vita.
Il terzo volume risente dell’ascetismo dell’ultimo Liszt, dell’uomo che si incammina verso le fine della sua vita ed è ormai capace ad elevarsi al di sopra delle cose terrene e contemplare ciò che per Liszt è l’essenza di tutto: il Divino. I sette pezzi che compongono l’ultima raccolta sono disposti non cronologicamente, ma in modo che anche il volume stesso rappresenti un cammino: esso si apre con una preghiera serale, l’Angelus e si conclude con il Sursum Corda. Quest’ultimo medita sul momento più mistico del cattolicesimo, cioè l’eucaristia: ‘Innalzate il vostro cuore a Dio!’ e ben rappresenta l’ultimo Liszt. Si tratta di un brano denso ma semplice, del cui significato, elevato ma pesante, sentiamo subito l’urgenza.
L’ultima raccolta, dunque, sembra in contrapposizione netta con i primi due mentre essa sarebbe proprio da vedere, secondo la lettura di taluni musicologi, come l’incoronamento dei precedenti due. Si tratta di fatto dello stesso percorso spirituale nel quale l’uomo, nel suo tentativo di sfuggire la materia e il tempo, cerca la sublimazione prima nella Natura, poi nell’Arte per trovare finalmente la serenità nel misticismo della fede.
Articolo di Anna Farkas
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