Ludwig van BeethovenSonata per pianoforte op. 27 n. 2 “Al chiaro di luna”
di Felicita Pacini
UNA PAROLA PER MILLE MUSICHE
La parola di giugno: VIAGGIO
Prossimo appuntamento: sabato 28 agosto
In questo articolo vorrei parlare di una delle trentadue sonate per pianoforte composte da Ludwig van Beethoven (1770-1827): la “Sonata al chiaro di luna” del 1802.
Quest’ultimo è il nome con cui è diventata famosa la sonata op. 27 n. 2 grazie al critico musicale Ludwig Rellstab che nelle armonie in minore e nell’atmosfera scura dell’introduzione aveva immaginato di vedere una notte di luna sul lago di Lucerna. La sonata ebbe anche un altro nome, che le fu dato a Vienna, quello di Laube Sonata (Sonata del pergolato) perché si voleva composta da Beethoven, innamorato di Giulietta, sotto il pergolato di un giardino. E, difatti, la composizione porta la dedica a Giulietta Guicciardini, una giovinetta di nobile famiglia italiana che Beethoven aveva conosciuto nel salotto dei Brunswick a Vienna e della quale si innamorò ardentemente senza però essere pienamente corrisposto. Nessuna prova indica che Beethoven avesse per questa sonata una sorta di programma o un’idea poetica inerente al chiaro di luna, sappiamo invece che l’autore la qualificò come una Sonata quasi fantasia, perciò la sua intenzione era quella di non seguire strettamente le regole della abituale forma sonata. Secondo queste, la sonata in tre tempi iniziava col movimento più importante nella forma bitematica poi era seguito dal tempo lento e da un finale vivace, spesso in forma di rondò. Beethoven in questa composizione inverte l’ordine: essa si apre con un movimento lento e si chiude con un tempo in forma sonata.
Il primo movimento, Adagio sostenuto, è scritto in una forma non convenzionale che alcuni critici hanno accostato a quella del Lied ma che può essere anche apprezzata come la libera espressione di un canto lirico di incommensurabile potenza emotiva. Il brano inizia nella tonalità di Do# minore con le famose terzine che creano l’ambiente sonoro armonico secondo l’indicazione dell’autore di suonare delicatissimamente e senza sordina mentre alla sesta battuta entra il tema nella mano destra che procede con mirabile semplicità come se, parafrasando Berlioz, la melodia fiorisse dall’armonia. Anche se tecnicamente appare facile, il primo tempo è di rado eseguito in maniera perfetta; un rischio, ad esempio, può essere quello di eseguire il brano troppo lentamente quando l’indicazione è invece adagio sostenuto per un tempo binario. Negli ascolti proposti potrete sentire due differenti interpretazioni dell’Adagio: una eseguita dall’eclettico pianista canadese Glenn Gould che comincia staccando un tempo relativamente veloce e mantiene un andamento sostenuto fino alla fine e un’altra eseguita dall’austriaco Alfred Brendel, molto più lenta ma con uno spessore espressivo sostenuto fino all’ultima nota.
(ascolti: L.V.Beethoven Moonlight Sonata in C# minor. Glenn Gould su Youtube; BRENDEL, Beethoven Piano Sonata No.14 in C sharp minor, Op.27 No.2 “Moonlight” du Youtube)
Al primo tempo segue senza interruzione l’Allegretto che Franz Liszt definì come “un fiore tra due precipizi”. Già questa affermazione ci parla della delicatezza di questo breve scherzo musicale strutturato in due parti con un trio finale. Qui il contrasto con l’introduzione è netto, è entrata una nuova lucentezza ottenuta anche grazie al cambiamento di tonalità a Re b, enarmonica di Do# ma modulante al La b, una chiave più adatta a questo movimento.
Attacca subito dopo il Presto agitato finale – nelle due interpretazioni già menzionate potrete ascoltare come vengano assunte differenti velocità esecutive, quello di Gould è un turbinio di note – nel quale si riconoscono i tratti inconfondibili del Beethoven romantico, impetuoso che vive la sua esistenza come una lotta volta a conquistare un più grande ideale quasi sempre sfuggevole. Questo movimento ha la forma tipica del primo tempo di sonata, sviluppato però con una certa ampiezza: all’inizio è proposta la prima idea musicale con un fluire di quartine di biscrome, a cui, dopo una transizione e una ripresa, fa seguito la seconda idea che, distendendosi per un attimo in una melodia legata torna poi a un succedersi di movimenti con i quali si conclude la prima parte. Dopo lo sviluppo, nel quale viene rielaborato sia il materiale della prima che della seconda idea, inizia la parte finale caratterizzata da un’esuberante passione espressa dal movimento delle biscrome. L’incedere continuo del basso albertino esprime bene il dinamismo di Beethoven che, dopo l’alterno procedere della seconda idea, avrà ancora un ultimo guizzo nel piano della breve ripresa melodica e negli impetuosi arpeggi ad unisono. Per la sua potenza espressiva, l’ultimo movimento fa pensare – in contrapposizione “al chiaro di luna” – a una tempesta verso cui è protesa l’intera sonata.
La sonata op. 27 n. 2 di Beethoven è all’origine di tanta letteratura di notturni, primo fra tutti il Clair de lune di Claude Debussy, un brano posto all’interno della Suite bergamasque (nella versione definitiva del 1905) e che è forse la composizione più conosciuta dell’autore francese.
In definitiva la nostra Sonata non può vivere né senza il suo Adagio né senza il suo Presto agitato, perciò vi invito a questo ascolto magari davanti al riflesso della luna sul mare e lasciandovi interrogare anche voi da quella domanda di leopardiana memoria: «Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai […]».
Articolo di Felicita Pacini
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