Prossimo appuntamento: 24 dicembre

I regimi totalitari influiscono non solo sulle libertà personali del popolo, ma anche sulla libertà d’espressione degli artisti. Dettami sulla cultura non sono mancati e continuano a non mancare in nessuno di questi difficili sistemi politici. Nell’Italia fascista la censura in ambito musicale non fu così serrata e diretta, mentre nella Germania nazista etichettarono apertamente come ‘musica degenerata’ il jazz e i compositori di opere atonali o moderne, quali Paul Hindemith, Arnold Schönberg e Igor Stravinskij: la loro musica di fatto venne vietata. Concentrandoci su Dimitrij Shostakovich, vediamo come egli si destreggiò tra le limitazioni culturali sempre maggiori dell’URSS e cerchiamo di fare chiarezza sul caso Shostakovich, poiché intorno alla sua figura si crearono tanti miti: alcuni lo dipinsero come artista emarginato, altri come astuto collaborazionista del potere. 

Almeno fino alla morte di Lenin (1924) l’URSS fu abbastanza aperta culturalmente cercando di incoraggiare lo sperimentalismo in tutti i campi artistici. Sono infatti questi gli anni fiorenti del cinema d’avanguardia sovietica e anche gli anni in cui raggiunsero alte vette nel campo musicale compositori come Arthur Lourie e Nikolaj Roslavets. Il primo facente parte del gruppo che si acclamava futurista, mentre il secondo a quello della sperimentazione e della dodecafonia. 

Questo scenario sparì ben presto con l’avvento di Stalin, proprio negli anni in cui anche Shostakovich cominciò a diventare un compositore riconosciuto. Quali sono le linee che egli dovette tenere a mente per evitare l’accusa di ‘formalismo’ mossa dall’URSS ai compositori che non seguivano i dettami del regime? Il potere incentivava una musica celebrativa e positiva, che sottolineasse il benessere raggiunto con il socialismo reale; ancora meglio se questa musica prevedeva un testo o un programma (con l’indicazione delle tematiche generali che avevano ispirato una data composizione): un modo questo per controllare maggiormente l’agire degli artisti dell’epoca. I canti, i cori di massa e le composizioni d’ispirazione folcloristica furono un colpo sicuro, i preferiti dal regime. Chi non seguiva queste linee politiche veniva accusato di essere un compositore formalista. Sotto questo termine il potere intendeva un linguaggio musicale troppo complesso e forbito da non poter essere compreso dalle masse, un linguaggio scritto, dunque, solo per il diletto di pochi. Va da sé, che dodecafonia, libera atonalità, politonalità vennero etichettate come formaliste. 

(da sinistra) Prokofiev, Shostakovich e Khatchaturian

Quale strada doveva percorrere Shostakovich per essere un compositore sia al passo coi tempi – in particolare con i compositori coevi quali Arnold Schönberg, Béla Bartók, Igor Stavinskij che imponevano caratteristiche stilistiche del tutto nuove – sia un compositore russo-sovietico, fedele alla sua patria che non lasciò mai? Egli trovò una via mediana tra le due posizioni che gli permise in qualche modo di sfuggire alle vessazioni più pesanti del regime. Non fu mai totalmente marginalizzato, specialmente dal momento in cui all’estero godeva di tanta riconoscenza, ma ciononostante, le punizioni in forma di censura non mancarono: queste riguardavano principalmente la produzione cameristica (tanti quartetti furono eseguiti solo molti anni dopo) e le due opere liriche Lady Machbeth e il Naso.

Sono forse le sinfonie le composizioni che più ci permettono di capire il procedimento musicale di Shostakovich. Spesso proprio per l’opus sinfonico egli fu definito come “compositore del regime”, in quanto «le sinfonie in URSS vennero intese come un solido pilastro in grado di sorreggere il nuovo edificio ideologico». Infatti, la Seconda sinfonia è dedicata All’Ottobre e contiene un coro che loda la grandezza di Lenin e la Terza Al primo Maggio, mentre l’Undicesima e la Dodicesima rispettivamente all’Anno 1905 e all’Anno 1917. Queste opere passarono dunque agli occhi del regime quali opere celebrative, ma ci è utile andare oltre all’ideologia del potere. Conviene qui approfondire il tipico procedimento compositivo di Shostakovich che il musicologo Franco Pulcini chiama appunto montaggio sinfonico. Egli descrive le sinfonie di Shostakovich come «“accumuli” danteschi di immagini, di profili, di cenni musicali ricchi di significato; i temi e gli sviluppi, del pari, sono montaggi di frammenti di realtà sonore circostanti, giustapposti […]».  

Questo metodo permise al compositore di inserire diversi livelli discorsivi così da caricare le sue opere di svariate figure, spesso in netta opposizione l’una con l’altra: per esempio dopo una fanfara è possibile ascoltare un’ innocente tema di un carillon. Questo repentino cambiamento di registro non manca di una vena di ironia e di satira politica; attraverso tale procedimento il compositore fu in grado di rendere le proprie composizioni quasi dei messaggi in codice ed è proprio questo aspetto che gli permise di sfuggire lo stile della retorica ufficiale richiesta dal regime. Un altro musicologo, Taruskin, vede la sinfonia shostakovichiana come un discorso codificato (a richly coded utterance), che può essere semanticamente decifrato.

Un articolo sulla rivista del regime Pravda in cui venne criticata senza mezzi termini la Lady Macbeth. L’opera fu di seguito censurata dal governo comunista.

Shostakovich, dunque, si mascherò dietro la miriade di figure caricaturali presenti nelle sue opere. Egli di fatto fece lo stesso anche con il procedimento armonico delle proprie opere: queste in teoria sono tonali, proprio per mantenere la facciata di una composizione semplice e comprensibile a tutti e che non si pieghi all’intellettualismo borghese delle composizioni ‘formaliste’. Di fatto però l’armonia shostakovichiana è molto più complessa. A ragione si può parlare di libera tonalità in cui si possono notare alcuni centri tonali intorno ai quali ruota la composizione, senza però affermare una tonalità dominante.

Ci troviamo così di fronte a un compositore capace di convivere con la difficile realtà politica del suo paese. Il metodo musicale trovato da Shostakovich gli permise di essere se stesso, ma allo stesso tempo anche di essere accettato, e a momenti acclamato, come grande compositore sovietico dal regime. Così, forse è utile che la domanda iniziale – Shostakovich come vittima o collaboratore del potere – venga riformulata e che sia considerata più a fondo in relazione alla fragile situazione politica nella quale egli si mosse abilmente. Si può chiudere questo articolo con una citazione di Franco Pulcini, che mi sembra particolarmente pertinente al nostro ragionamento: 

E le forze più ottuse della cultura non trionfarono proprio grazie all’infinita pazienza e capacità di sopravvivenza di non-eroi come Shostakovich, che hanno saputo destreggiarsi in una situazione difficile con grande prudenza e astuzia politica. […] La sua capacità di persuasione e logica stringente nel ragionare sulle cose dell’arte finirono per avere la meglio sui mediocri invidiosi […].  

Articolo di Anna Farkas

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